martedì 21 aprile 2020

Non voglio il mondo che c'era prima. Ma non voglio neanche quello che stanno costruendo per noi adesso!



Diario dalla quarantena - Sabato 18 aprile 2020

Noto che c'è una sorta di rassegnazione all'idea che il post-pandemia sarà una vita rinchiusa. In alcuni casi non è neanche rassegnazione, ma euforica curiosità o addirittura brama di sperimentare questa nuova forma di vita che sembra delinearsi tra mascherine, guanti, distanze e niente più abbracci, baci, carezze, tocchi. Una specie di normalizzazione dell'isolamento sociale, della vita nelle quattro mura di casa, dell'addio alla carne, della fine dell'arricchimento personale attraverso i viaggi. Al punto che chiunque oggi si preoccupi di ricostruire una vita sociale, una realtà collettiva - che siano concerti, fiere del fumetto, vacanze al mare - che quindi esuli dall'ambito del lavoro e del produttivismo capitalista, viene rimproverato e deriso perché considerato stupido, superficiale ed egoista a voler tutelare il proprio benessere psicologico oltre che quello fisico ed economico. Si sta costruendo una sorta di senso di colpa per la vita, che sta mettendo radici nelle menti dei più, nell'immaginario comune, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se dovessimo chiedere il permesso per vivere e desiderare l'inutile (santa inutilità, non si dovrebbe mai neanche lontanamente pensare di cancellarla dalla rosa delle realtà possibili!). Non posso esimermi dal chiedere a me stessa e anche a voi a chi faccia comodo questo nuovo modo di pensare il mondo e l'esistenza (e non è complottismo, ma semplice buon senso esercitato dalla mente di una persona abituata a pensare e farsi domande).

Io sono anticapitalista e anarchica, quindi è ovvio che il mio desiderio non è tornare al mondo che abbiamo lasciato quando ci siamo costretti in casa: penso che il mondo debba essere ripensato, ribaltato, magari distrutto e sulle macerie ricostruito con nuovi rivoluzionari presupposti. Ma le cose che vanno cambiate sono il concetto di lavoro e le modalità di produzione e vanno abolite le dinamiche di potere e controllo politico, sociale, economico che vogliono l'eliminazione dell'individuo improduttivo e l'annichilimento della volontà di chiunque osi ribellarsi a quella consuetudine; e andranno sicuramente ripensati anche i rapporti interpersonali, cercando di eliminare quelle dinamiche di potere che anche nelle relazioni si riproducono come specchio di quelle che viviamo nella società moderna capitalista, alienante e darwiniana in cui la sopraffazione la fa da padrona, i deboli e gli ultimi vengono derisi e calpestati, le fragilità vengono disprezzate e le debolezze e le ferite vengono usate come arma per schiacciare. Quindi sì, siamo d'accordo: non è al mondo di prima che dobbiamo tornare. Ma io non voglio entrare neanche nel mondo che stanno costruendo per noi adesso!

La soluzione non è chiudere tutti in casa senza avere la benché minima garanzia di reddito e assistenza sociale così che continuerà ad arricchirsi solo l'industriale (a cui si concede di continuare a produrre ad libitum) e chi riveste ruoli di potere, mentre le altre classi sociali faranno la fame o faranno lavori che prevedono totale e cieca sudditanza. Né piazzare l'esercito nelle strade a prendere insindacabili decisioni su quali siano i motivi per cui è necessario che un individuo esca di casa e - in caso non sia un motivo che a loro discrezione le forze dell'ordine ritengono valido - dare alle stesse assoluta libertà di punire quell'individuo coi mezzi che ritengono più opportuni (compresa la violenza). Né alimentare il sospetto reciproco tra i cittadini e aizzarli alla delazione, facendoli sentire come fossero un necessario secondo occhio di supporto a quello del grande fratello, lì appollaiati sopra ai loro balconi a decidere se il loro vicino di casa abbia o meno il diritto di uscire e - in mancanza di un'arma con la quale sparare loro stessi alle spalle del traditore della patria - pronti a denunciare quel vicino alle autorità (senza però conoscere nulla di quella vita che stanno giudicando). Perché, se continua così, una volta finito l'incubo, fuori di casa troveremo solo odio e rabbia e violenza che - tanto per cambiare - non saranno però indirizzati nella direzione giusta (verso i palazzi del potere) ma verso altri poveri cristi disperati della stessa disperazione (come i piani alti fanno in modo che sia dalla notte dei tempi).

E la soluzione non è neanche vietare di spostarsi liberamente (fino a data da destinarsi) fuori dai confini del proprio Comune o Stato (che sia per lavoro o per vacanza). Così come non ha senso eliminare dall'immaginario futuro ogni tipo di evento culturale che preveda un folto pubblico (fiere, concerti, festival), idea a cui però i governi stanno cercando di farci abituare col loro terrorismo psicologico che arriva a paventare scenari apocalittici in cui non è più possibile immaginarsi in cento nella stessa stanza o arena perché moriremmo tutti (e nel frattempo i lavoratori dell'arte, della musica, del cinema, dello spettacolo non solo non hanno idea di quando ricominceranno a lavorare e quindi non sanno come campare nel frattempo ma vengono pure accusati di essere egoisti e di pensare a "cose futili" mentre il mondo vive una tragedia... il punto è che la tragedia la vivono pure loro, ma pare non importare a nessuno).

Per non parlare di come i nuovi divieti incideranno su tutte le manifestazioni di dissenso politico, poiché i governi troveranno nel virus il pretesto per censurarle, impedirle, reprimerle (anche nel sangue). E oggi il problema è il virus, ma domani sarà il "pericolo terrorismo" (e già lo è stato, ma hanno verificato che con quello non attacca troppo) o verrà fuori un altro pericolo incombente che magari è meno oggettivo di un virus ma sarà dichiarato "pericolo" a discrezione dei piani alti che creeranno e indurranno panico, terrore, psicosi anche peggiori sapendo che la risposta del popolo sarà quella che vogliono loro perché il popolo glielo sta dimostrando in questi mesi. Perché è chiaro (a chiunque abbia ancora un briciolo di lucidità e spirito critico, almeno) che i governi stiano giocando sullo stato d'emergenza per instaurare un capillare sistema di controllo e privarci gradualmente di tutte le libertà che avevamo dato per scontate, tra l'altro facendo sì che siamo noi stessi a chieder loro di togliercele in nome di un "bene superiore" collettivo che con tutta probabilità sopravvivrà anche al virus, il tutto mentre i "sinistri" - anziché denunciare il pericolo di una deriva autoritaria - si divertono a liquidare tutte queste preoccupazioni come "becero complottismo".

Non è nell'isolamento e nel controllo, insomma, che tutto quanto di marcio esiste nel mondo capitalista verrà corretto. Anzi, l'isolamento non farà che avallare tutto quello che di malato c'è in questa società: il povero farà la fame, lo schiavo sarà ancora più schiavo, la vittima di violenza domestica finirà ammazzata, il bambino crescerà alienato, chi è sano diventerà pazzo, il pazzo darà da mangiare ai suoi demoni interiori fino forse a morirne.
Sapete, io vivevo in quarantena da prima della quarantena, per scelta. Ma era una scelta figlia di un mio disagio: la depressione non è bella, fuggire dal contatto con gli altri esseri umani non è bello, conoscere solo le quattro mura di casa e guardare gli altri posti del mondo quasi solo attraverso uno schermo (tranne in quei rari casi in cui mi sforzo di prendere un aereo e scappare altrove) non è bello; tra un po' imporranno anche ai concerti di esistere solo in streaming, per anni (o forse per sempre), e non poter stare sotto ai palchi a sudare e scontrarsi con altri corpi sudati, a saltare e pogare e ballare e urlare non è bello (quelle poche volte che ho visto live musicali in streaming in questi giorni di quarantena, mi veniva da piangere).
Da quel disagio che mi ha portata all'isolamento, io stavo tentando di uscirne proprio prima che arrivasse la "fine del mondo" (immaginate la mia attuale frustrazione!). Quindi oggi mi lascia a dir poco perplessa leggere articoli che sottolineano quanto sia bello non partire più per lavoro in altri Paesi e fare le conferenze in video comodamente da casa o - peggio ancora! - quanto sia piacevole cenare davanti a uno schermo in videochiamata con sconosciuti in altre parti del mondo. E allora è come si ti chiedessero: perché prendere un aereo e andarci a cena, con quelle persone, sul serio, nella loro città, o invitarle nella nostra, se possiamo comodamente cenare col pc sul tavolo e voci e volti in asincrono e immagini in buffering che pixellano gli sguardi e i sorrisi perché magari la connessione non è neanche un granché?! Dando per scontato che saresti d'accordo anche tu con questa prospettiva delirante che ti offrono col sorriso. Ma è uno scenario desolante, ai miei occhi. Che non sembra essere preso in considerazione come qualcosa in più rispetto a quello che ci è concesso oggi, ma come un sostitutivo: basta col passato, basta coi viaggi, basta occhi negli occhi e carne contro carne, diamo il benvenuto alla vita virtuale e diciamo addio alla vita sociale!

E io proprio non ce la faccio a sperare che questo sia il mondo post-pandemia! Mi rifiuto.
Per cui, quando si uscirà da questa tragedia (e spero se ne esca) - per quanto io ci tenga comunque a preservare i miei santi spazi di libertà individuale e solitudine (che sono comunque necessari e vitali e a cui tengo molto, come saprete se mi leggete spesso) - combatterò perché esistano ancora anche i santi spazi di socialità collettiva, quella vera, non quella asettica degli schermi ma quella viva della carne. Perché una vita come quella che si sta prospettando non è vita, è un incubo degno delle più terrificanti distopie.
E già ora a me sembra di vivere non solo in un miscuglio tra 1984, Brave new world, The handmaid's tale, Matrix, Equilibrium, V per Vendetta... Ma pure nel mondo immaginato nel video Gaia creato dalla Casaleggio associati. Solo che Casaleggio l'ha immaginato come qualcosa da anelare, a cui aspirare (e si sta effettivamente realizzando)... Mentre a me mi terrorizza.

Immagine tratta da Legion (serie tv)

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