venerdì 19 dicembre 2014

.Stream of universeness.



Troppo spesso di notte non dormo.
Passo il tempo a guardare immagini dell'universo: foto, video... le guardo e finisco per farmi domande sulla "vita, l'universo e tutto quanto". Per qualche attimo prendo seriamente in considerazione l'ipotesi che la risposta sia 42. E sorrido.
Poi all'improvviso mi sento sopraffatta da una sensazione inspiegabile con parole umane e umanamente comprensibili: non so bene, non riesco a capire se mi sento tutto o niente; infinito o... che cosa sono?

Per capire cosa sono io, dovrei prima capire in cosa vivo.
Ma come si fa? E se pure ci riuscissi, lo saprei raccontare l'immenso?
Potrei aggrapparmi solo a quello che conosco e che amo e quindi mi verrebbe da dire che ha qualcosa a che vedere con la musica (con la musica dei Godspeed you! Black emperor o dei Marnero, per esempio, che sono gli unici in grado di dettarmi il ritmo del respiro come a comandarmi di restare viva ma sempre sul filo, mai del tutto padrona di me).
O semplicemente ha a che vedere con sé stesso, coi suoni dei pianeti che la Nasa ci ha fatto la grazia di pubblicare in rete. Non so quanto senso abbia scientificamente chiamarli "suoni", dato che galleggiamo nel vuoto e nel vuoto non esiste propagazione del suono perché manca il mezzo. Il suono esiste come vibrazione elettromagnetica (insomma l'universo suona e suona noise/drone/ambient): quelle catturate dall'antenna Plasma Wave, cioè, sono vibrazioni comprese nel range percepibile dall'orecchio umano e i "suoni" che si sentono sono il risultato delle interazioni complesse tra la ionosfera, la magnetosfera dei pianeti e le particelle elettricamente cariche emesse dal vento solare. Quindi tu metti play e senti il rumore della Terra, di Nettuno, di Saturno, di Urano, di Miranda (il più piccolo e interno satellite di Urano), dei venti di Giove e degli anelli di Saturno e Urano. Ed è tutto così... impressionante. Il vuoto in cui galleggiamo, innanzitutto. Che poi non è proprio vuoto, perché il vuoto assoluto non esiste: implicherebbe una totale assenza di materia e di conseguenza non esisterebbe lo spazio-tempo; quindi pure negli spazi intergalattici, anche se non ci fosse neanche una particella subatomica, ci sarebbero comunque radiazioni elettromagnetiche; allora il vuoto assoluto non esiste nell'universo e neanche fuori, perché fuori dall'universo non c'è materia né energia né spazio-tempo, quindi il "fuori dall'universo" non è né pieno né vuoto perché non esiste.

Non c'è un momento della giornata in cui io non pensi all'universo. Neanche di notte. Soprattutto di notte, quando dormo e quando sono sveglia. Soprattutto quando sono sveglia, perché - come dicevo - spesso di notte sono sveglia.
L'unico pensiero che occupa altrettanto spazio nella mia testa è la morte. Che poi forse l'uno è conseguenza dell'altro, perché penso sempre al fatto che quando io finirò non finirà anche l'universo: l'universo continuerà a espandersi (forse), il mondo continuerà a girare, la gente a vivere, la musica a suonare, i colori a colorare, il vento ad accarezzare la pelle di chi rimane, la luna a baciare gli amanti, il sole (almeno finché non muore) a illuminare gli occhi di chi vive e lo può guardare. Mentre io non potrò più Sentire. E posso dirlo? Tutto questo mi fa rabbia! Sapere che non potrò più provare emozioni; che non potrò gustare, godere del sapore della cioccolata, mangiare, assaggiare qualsiasi cosa o persona; che non potrò più toccare le cose che amo toccare, te per esempio; che non potrò più vedere le cose belle da vedere, che non potrò più respirare le cose sane da respirare, quelle che mi fanno viva: come la Sardegna, o te, ancora.
E poi la musica... La sola idea che ci sarà un momento oltre il quale non potrò più sentire musica mi uccide. Mi strazia. Mi angoscia. Ma più di tutto mi fa incazzare.

Non c'è un momento della giornata in cui io non pensi a tutto questo. Da sempre.
Quando avevo all'incirca 10 anni, già passavo il tempo a chiedermi cosa fosse l'universo e se avesse un inizio e una fine. Ricordo che una sera in macchina lo chiesi ai miei genitori che rimasero zitti - senza sapere cosa dire - tra il perplesso, lo sbalordito e il fiero ma comunque non seppero rispondere. Crescendo so' diventata scema, mi si è atrofizzato il cervello. Ma da piccola facevo la filosofa - ehggià! - ed ero un potenziale genio. Cosa mi è successo dopo, non lo so: tipo perché ho cominciato a dubitare di me tanto da non sentirmi più all'altezza dei miei sogni, tanto che mi ritrovo a studiare la materia più noiosa del mondo anziché quelle che mi renderebbero felice. Se avessi seguito le mie passioni di bambina, a quest'ora starei studiando matematica o fisica o entrambe e oggi ci capirei qualcosa in più di quello che vorrei capire.

Per esempio, il tempo. Cosa diavolo è il tempo? Esiste?
Proprio da poco mi sono imbattuta in un articolo dal titolo "Due futuri possono spiegare il misterioso passato del tempo". Fa effetto, eh? Ho provato a leggerlo e devo ammettere che mi si è un po' fuso il cervello, sono anche caduta nel baratro dell'angoscia (come sempre mi capita quando leggo di questi argomenti) però che angoscia meravigliosa! 
Insomma, quello che i miei neuroni un po' tarati sono riusciti a elaborare è che il Big Bang non sarebbe l'inizio di tutto, ma il punto centrale da cui si dipartono due frecce del tempo che vanno in direzioni opposte. Secondo questa teoria, è la gravità (che "prende sistemi che sembrano straordinariamente disordinati e li rende meravigliosamente ordinati") a dare origine alla freccia del tempo e all'espansione del sistema di particelle iniziale (il Big Bang): queste particelle si espandono verso l'esterno in entrambe le direzioni temporali creando due frecce del tempo opposte. In poche parole, il tempo sarebbe un effetto della gravità e il modello avrebbe un solo passato ma due futuri (lungo le due frecce del tempo); quindi noi saremmo nel passato dell'universo che scorre lungo la freccia del tempo opposta alla nostra e viceversa.
Ma pure questa è una verità relativa. I fisici si chiedono se sia effettivamente così, perché così è la scienza: un dubbio continuo, una continua messa in discussione di sé stessa, alla ricerca di una verità che non sarà mai assoluta perché si contraddirà con quella precedente e con quella che si scoverà una volta messe in dubbio tutte le altre verità. 
Se solo si pensa che esiste un'altra teoria (quella dell'universo arcobaleno) che sostiene che non c'è mai stato alcun Big Bang e che il tempo non ha mai avuto un inizio e anzi si estende all'infinito nel passato perché gli effetti della gravità sullo spazio-tempo si fanno sentire in modo diverso alle diverse lunghezze d'onda della luce... 
Si rischia di impazzire davvero.
E in effetti io devo smettere di leggere queste cose perché sennò impazzisco davvero.
Quindi ho smesso di leggere e sono rimasta per alcuni minuti davanti allo schermo con sguardo ebete. Ma dopo qualche istante (che forse è durato molto più di un istante) di rincretinimento totale sono rinsavita e ho sorriso commossa. Ho sorriso. Perché - nonostante l'inevitabile angoscia (che se non ti prende quando pensi a 'ste cose forse non sei in grado di Sentire neanche la più piccola delle emozioni figuriamoci l'immenso!) - quello che ti si scatena dentro quando provi a spiegarti in cosa vivi e quando, è impagabile. Tutti gli studi valgono la pena anche solo per quell'emozione di quel momento, quando capisci che sei niente e allo stesso tempo tutto perché tu abiti il tutto e tutto ti abita ma tutto potrebbe essere niente perché noi mica lo sappiamo se esistiamo davvero?!
Sento esperti sostenere (giustamente) che bisogna ringraziare il CERN per le sue scoperte in quanto applicabili a campi concreti della scienza tipo la medicina e l'energia. però io non posso fare a meno di domandarmi: ma pure se fossero scoperte fini a sé stesse, pure se si studiasse e sperimentasse spinti solo dal viscerale amore per la conoscenza come facevano gli antichi, qual' foss' 'o probbblem'?! A me mica mi dispiace se qualcuno mi spiega di cosa cazzo è fatta, quanto dura e dove arriva questa misteriosa meraviglia che è l'universo in cui vivo, di cosa sono fatta io e perché mi sento di appartenere alle stelle?!
I poeti mi risponderebbero che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni, i fisici che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle. 
Fossi rimasta bambina, direi che le stelle sono sogni perché "i sogni son desideri" e quando cade una stella si esprime un desiderio (i miei sillogismi strampalati). Ma purtroppo per me sono cresciuta e al momento - in questo preciso istante - mi interessano la biologia, la chimica, la fisica... e quindi forse mi fido più dei fisici. Che poi pare spoetizzante, ma anche no. A me, pensare che vengo da una stella, mi sembra pura poesia. 
Da poco ho scoperto pure che dentro di noi, tra le altre cose, c'è dell'oro. Conteniamo oro. Allora mi tocco, per provare a sentire quella Ricchezza. Le dita si sfiorano leggere e incredule e poi cercano atri pezzi di carne da pizzicare. Mi tocco per capire se sono vera. Poi cerco uno specchio per osservarmi mentre mi accarezzo le labbra, le gote pallide, seguo i miei lineamenti fino a circumnavigare gli occhi che si chiudono e poi li riapro per cercarci dentro un pezzo di stella. O un sogno. O un ricordo. Non so.

Stanotte non ho guardato immagini dell'universo. Ho solo incrociato una luna di fuoco che è affogata dentro al golfo. E il tuo sorriso. Stanotte ti ho guardato sorridere e mi sono comunque esplosi Big Bang nel cervello e nate galassie negli occhi. E non so se è un ricordo o è adesso o è un momento fissato e sospeso nel tempo e quindi eterno come una fotografia.
Guardarti mi fa lo stesso effetto disarmante che mi fa l'universo.
Forse per calmarmi i pensieri e il respiro avrei solo bisogno di stendermi sotto un cielo senza luna e pieno di stelle, con te, e addormentarmi così.

Invece credo che neanche stanotte chiuderò occhio.




click to play: Suoni dei pianeti (NASA)