domenica 25 maggio 2014

I can't feel my hand anymore. it's alright, sleep still!




a volte mi basta anche solo addormentarmi in un abbraccio per ritrovare il ritmo naturale del respiro.

ma, in una notte insonne in cui quell'abbraccio mancava, ho scoperto che i Mùm hanno più o meno lo stesso potere terapeutico.

click to play: MùM - Loksins erum við engin





giovedì 1 maggio 2014

.PRIMO MAGGIO.

click to play: CCCP - Roco roço rosso
primo maggio con rabbia.
rabbia ingorda di strada.
strada di guerra affollata e, sotto i colpi, vuota.

graffia 
le voglie 
sui sassi,
sui pezzi d'asfalto.
scolpiscile 
nel cielo
come stelle!
ardi 
divina tenaglia,
sul mondo 
brucia!
tornio d'amore 
parole di fuoco 
attente a me, al mio capire.
forgiami viso, respiro, sorriso 
di fuoco.

primo maggio d'amore.
amore ingordo e mai sazio, sazio di carne e d'anima.
e, sotto i colpi, vuoto.

la vita, strano a dirsi, è una sola.

primo maggio con noia.





Innanzitutto, il lavoro fa male.
Tant'è vero che, quando un medico visita un ammalato, come prima cosa gli dice: "Riposo assoluto!". Hai mai sentito dire: "Lavoro assoluto!"?
E poi il lavoro è un perditempo.
E il tempo non bisogna perderlo in cose inutili, ragazzi, ricordatelo! Bisogna utilizzarlo. C'è gente che perde tutta la giornata a lavorare.

[Eduardo De Filippo]





Distruggiamo il lavoro!
Per farlo occorre che si costruiscano percorsi di sperimentazione individuale e collettiva che non tengano conto del lavoro se non per cancellarlo dalla realtà delle cose possibili.
(...) Il lavoro è una forma particolarmente acuta del fare, la forma coatta per eccellenza. Non ho certezza del fare che intraprendo, ma è la completezza a cui miro. So bene che questa prospettiva tranquillizzante non è praticamente accessibile, ma la tengo davanti agli occhi mentre timbro il cartellino ogni mattina. Spero che non sia così, anche se so che è così: che la morte verrà e concluderà la partita per sé e non più per me.
Inafferrabile e lontana è la completezza: essa risiede nella straordinaria rarefazione della qualità e mi affascina non con la sua pienezza (che posso attingere solo con intuizioni coinvolgenti e pericolose, comunque non durature), ma con l'inganno del desiderio, vuota immaginazione che la necessità riempie di contenuti presto assimilati nel processo produttivo.
Distruggendo il lavoro che mi opprime, sabotando l'amministrazione del mondo, mi accingo a passare oltre, a guardare che c'è oltre la siepe che chiude la prospettiva dell'orizzonte.

[Alfredo Maria Bonanno]






Che tristo spettacolo, questi giovani istigati da Libertinotti che già a vent'anni invocano i lavori forzati.
Sogno cortei di ragazzi che gridano: "Basta con il lavoro!".
La verità è che, se non nasci miliardario, sei spacciato per sempre. Se nascere è funesto, nascere poveri è infame...
Era la peggior offesa che si potesse fare a questa gente: proporgli di lavorare.
Negli ultimi trent'anni sono stati degradati dai media, precipitati nella tirannia delle plebi. Ma se qualcosa sopravvivesse dell'antica indolenza, dovrebbero essere loro a sputare in faccia a chi gli offre lavoro: "Come ti permetti, signoria, non ti vergogni?" - avrebbero detto un tempo - "Non siamo mica dei somari?! Lavorate voi!".
Ormai omologati nel "diritto al lavoro", hanno dimenticato quella dignità. non s'offendono più. Anzi, sono loro a chiedere lavoro. S'iscrivono alle liste di collocamento, i depravati.

[Carmelo Bene]





A furia di infilare la livrea di servizio dal lunedì al venerdì vanno a divertirsi come vanno a faticare. Quasi si sputano sulle mani prima di mandar giù un Perand-Vergeless, di battere le gallerie del Louvre, di recitare Baudelaire o di fornicare selvaggiamente. 
A ore e date fisse, disertano gli uffici, le officine, i banchi di vendita per gettarsi, con gli stessi gesti cadenzati, in un tempo misurato, contabilizzato, smerciato al dettaglio, etichettato con nomi che suonano come altrettanti flaconi allegramente stappati: week-end, ferie, festa, riposo, svaghi, vacanze. Sono queste le libertà che il lavoro paga loro e che pagano lavorando.
Praticano minuziosamente l'arte di attribuire colori alla noia, misurando la passione al prezzo dell'esotismo, del litro d'alcool, del grammo di cocaina, dell'avventura libertina, della controversia politica. Con occhio tanto smorto quanto competente, osservano le effimere quotazioni della moda che drena, di saldo in saldo, lo smercio promozionale di vestiti, piatti preconfezionati, ideologie, avvenimenti e star sportive, culturali, elettorali, criminali, giornalistiche e affaristiche che ne mantengono l'interesse. 
Credono di condurre un'esistenza mentre l'esistenza li conduce attraverso le interminabili campate di una fabbrica universale. Che leggano, si diano da fare, dormano, viaggino, meditino o scopino, obbediscono per lo più al vecchio riflesso che li comanda durante tutti i giorni feriali.
Potere e profitto tirano le fila. Hanno i nervi tesi a destra? Si distendono a sinistra e la macchina riparte. Qualsiasi cosa li consola dell'inconsolabile. Non è senza motivo che, per secoli, abbiano adorato sotto il nome di Dio un mercante di schiavi che, concedendo al riposo un solo giorno su sette, pretendeva ancora che esso fosse dedicato a cantare le sue lodi.
Eppure la domenica, verso le quattro del pomeriggio, sentono, sanno che sono perduti, che, come per il resto della settimana, hanno lasciato all'alba il meglio di sé.
Che non hanno smesso di lavorare.

Allevano il bambino nello stesso modo in cui si alzano ogni mattina: rinunciando a ciò che amano.

[Raoul Vaneigem - Ai viventi sulla morte che li governa e sull'opportunità di disfarsene]



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